Firenze mi trattiene, Firenze mi intrattiene. Parte Prima.

Firenze mi trattiene, Firenze mi intrattiene, tra rinascimento è contemporaneità. Tra modernissimi horror vacui e classicismi senza tempo. Un'intrattenimento senza posa in cui iniziano a prendere forma certe mie ricerche e certe mie nuove pagine scritte. A Firenze , diceva Andrew Wharola, ai suoi tempi , la cosa più bella che si poteva vedere era il McDonald. Lo disse, sovente, e conscio forse, di una globalizzazione che stava già formandosi a quei tempi e che oggi sembra quasi giunta al culmine della sua espressione massima. Firenze che mi intrattiene, è più americanizzata di Milano. Le bevande calde, sono servite in quei contenitori di carta Take Away, che piacciono tanto, perché ci permettono di identificarci, forse, come cittadini di quel mondo filmico americano che tanto piace ai più. Come se il nostro caffè espresso, o meglio, il  rito del nostro caffè consumato al bancone di un bar, sia desueto e senza poesia. Eppure, quanta poesia ci potrà mai essere in un caffè annacquato, consumato per strada, in piedi, dentro un contenitore di cartone? . Io non ce ne vedo nessuna. Vedo solo un'ingenua voglia di sentirsi sempre meno italiani ma più Esteri. Come se ci vergognassimo dei nostri spaghetti che sostituiamo con Noodles e Ramen, e della pancetta che chiamiamo solo e sempre Bacon. Una fuga di tradizioni che è peggio della fuga dei cervelli all'estero. Loro però , mentre vanno via , le tradizioni s le portano dietro, nostaligici e fieri. Chi resta invece, soffre l'impossibilità di non poter andare e si barcamena come meglio può per apparire più cosmopolita qui che altrove. Eppure è così bella questa italianità che ci portiamo addosso. E questa Firenze, spoglia del tutto in doppia lingua, dei suoi american bar, american lounge, american shop ,e american vattelappesca, è tanto straordinaria che ci culla soave tra le sue meraviglie incontrastate, in cui il tempo sembra essersi fermato.
Passo molto tempo alla Biblioteca Nazionale, tra libri e cartigli, è certo è che i nostri antenati, di cose ne hanno insegnate al mondo, tanto che le mie ricerche hanno radici tra teorici quattrocentisti italiani, che Berenson ancora doveva venire. Così come molti altri.
Rarità di sentimenti nazionalistici che hanno più l'odore dei panni in Arno, risciacquati dal Manzoni, che di qualcosa di contemporaneo che a dire il vero non sa di niente, se non di inglesismi, cineserie da due lire e rifiuti alimentari troppo unti. 
Nonostante questo tripudio di oscenità vacillanti nella forma e nella scrittura, Firenze mi trattiene e mi intrattiene in questo periodo di scrittura e di ricerche, di massacri e di scoperte, di oggetti e non soggetti. 
Chissà come sarebbe stata questa Firenze di oggi per Oriana Fallaci. Chissà come per Macchiavelli, per Girolamo Savanarola, per Caterina e Lorenzo De Medici. Chissà come avrebbero guardato questa orda di furiosi turisti che fotografa soprattutto la gente che passa, cercando così di immortalare il tempo in una foto, di una città immortale per essenza e per principio. 
Mi ritrovo per angoli di strada che sembrano incantevoli spazi di tempi perduti e mi sembra di sentir guelfi e ghibellini ancora in astio, sempre in guerra. E non capisco proprio perché ci vadano sempre meno italiani a mangiare il lampredotto è sempre meno cinesi a mangiare il dim sum.

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