Scoperti e Riscoperti. (Breve viaggio in un polo fieristico).

Tutto ciò che non è immediato é nullo. È nell'immediatezza dello stupore che risiede la vera essenza della scoperta di un' opera d'arte.  Qualcosa di tanto intimo, da annidarsi in quella foresta che è la nostra psiche senza più uscirne. Una voce smorzata come il rumore del vento in un tono che sorprende, e talvolta si disperde. Perché le opere d'arte sono prima di tutto emozione. E l'emozione arriva subito all'occhio, che è la  sentinella del cervello, che ne viene subito colto e ammaliato. E nell'istante successivo ti viene voglia di afferrarla, l'opera d'arte, di toccarla, in un turbine di curiosità che è fascinazione e voglia di scoperta. Ma la consapevolezza, quella viene in un secondo momento ed è difficile spiegarle le opere d'arte , a parole, se ne può dare in ragguaglio in base alla propria memoria,a volte storica.
Le fiere d'arte oggi, come i Salon Parigini, ieri, sono un turbinìo di emozioni fugaci, talvolta indelebili, in cui scoperte e massacri si intrecciano, ma ciò che rimane è solo quello che ci coglie nell'immediatezza. E così tra padiglioni grandi come macrocosmi e stand come microcosmi, la bellezza delle scoperte c'è ancora. Quell'ariosa bellezza della scoperta di nuove opere d'arte , anche di artisti che già si credeva di conoscere molto bene.
I due padiglioni di Arte Fiera, in questa nuova occasione hanno solo nomi che nella catena del l'immediatezza mi hanno permesso di non annoiarmi. 
Yuken Teruya, Ornaghi e Prestinari, Francesca Pasquali, Veronica Vazquez, Artur Lescher, Eltjon Valle, e Paola Pezzi. Ognuno di loro è arrivato a me, come un viatico prezioso.  Molti di loro li conoscevo già, ma le cose belle, si sa, non smetti mai di osservarle davvero. Per un giorno e mezzo mi hanno tenuto compagnia accanto ai grandi mostri dell'arte di Tornabuoni Arte che non ti stanchi mai di studiare a memoria. Il grande Salvatore Scarpitta ,per esempio, con un opera tanto grande, tanto bella che a discapito di altre, altrettanto belle, non si faceva mai smettere di contemplare. Ma Tornabuoni si sa, le seleziona tutte le opere più belle dei grandi , tanto che più che una galleria io penso a loro come ad un Museo in cui le scoperte sono continue. Nel loro stand anche la mia tanto cara Francesca Pasquali che ha fatto dei materiali industriali, difficili di primo acchitto da associare alla delicatezza di una classica opera d'arte , un lavoro di minuzia e di ingegno che tanto bene le è riuscito e le riesce ogni giorno ancora. 
Mi rendo conto , proprio adesso, mentre scrivo d'istinto che questi bravi artisti, sono legati tra loro da un filo conduttore unico che è quello di avere un pensiero che hanno trasformato in arte. Un comune denominatore che in questo presente ,fuggente,li rende più interessanti che altri. 
E non mi va di parlare di loro pensando ad uno stile. Perché l ho sempre detto che lo stile non esiste, bensì esiste il temperamento dell'artista che si riversa sull'opera d'arte. E per giunta non mi va di definirli perché un pensiero non può essere classificato, ma è giusto che sia un opera aperta, una ricerca duttile e plasmabile che va a collimare con la crescita dell'artista stesso.
Devo però dire, che tutti, chi più chi meno, da Teruya a Pezzi, da Ornaghi e Prestinari a Valle,si portano dietro un retaggio molto forte. Il loro lavoro minuzioso incanta, e mi torna alla mente che il Bello, che loro creano, non sia altro che la promessa della felicità. 
YUKEN TERUYA rappresenta con i suoi alberi della vita, la parte melanconica e ardente del secolo. In questo secolo, ancora così giovane eppure così vecchio, per il quale nulla è difficile da raccontare, la sua immaginazione, io la intendo come la capacità di assimilare ed elaborare uno sterminato magazzino di immagini e segni che per brevità chiamiamo natura. La sua minuziosità ricorda i manufatti giapponesi più antichi, in un vessillo sontuoso di contemporaneità e memoria. Teruya fu, per me, uno di quegli amori a prima vista, di cui non mi stancherò mai. Il suo elaborare è una ricerca continua non solo per lui, ma soprattutto per chi guarda. Perché il pensiero, talvolta risulta più forte dell'opera stessa, che si trova lì , e nella sua seducente eleganza ti riporta alla mente l'eccessivo consumismo occidentale, il grande problema della deforestazione a servizio della produzione di carta, buste e quant'altro. E tutto questo con una grazia e una minuziosità , tanto bella da parir indecente. L'artista di Okinawa che è in collezione permanente nei più bei musei del mondo si porta dietro il fascino antico del sol levante , che tanto bene ha riempito lo spazio dello stand di Piero Atchugarry, al cui lavoro di ricerca non si può che rispondere : Chapeau. 
Sempre del suo stand, e di cui già l'anno scorso parlai a lungo, gli interessanti e avvicenti VERONICA VAZQUEZ, ARTUR LESCHER e l'italiano RAFFAELE ROSSI.
La bellezza di uno stand in cui si sente il respiro dell'arte contemporanea, quella vera, quella che esiste, la senti subito. La intravedi dalla qualità delle opere esposte, e dall'attenzione di ogni particolare. 
Mai occhio fu avido quanto il mio, in questa ultima esperienza fieristica, che devo dire, ho anche sconsigliato ad alcuni miei clienti. A mio discapito quasi. Ma Ginevra era assai più bella, e a me dispiace moltissimo dirlo. Ma cinque artisti contemporanei ,validi, non fanno una bella fiera. È questo non è un parametro ma una constatazione. 
Dopo questa lieve torsione del discorso, mi torna in mente il lavoro e la poetica dell'artista albanese, inurbato in Italia, ELTJON VALLE. I suoi lavori li ho trovati interessanti, tanto quanto li suo impegno civico che lo ha portato a realizzare la bonifica di pozzi, in Albania, devastati dall'ossessione della ricchezza petrolifera. Nello stand della Nuova Galleria Morone, che lo rappresentava, ho trovato parte di un lavoro sulla terra, che si sa ha origini più antiche dell'arte stessa. Un lavoro sulla memoria atavica, mi piace oggi definirlo, soprattutto per il loro peso che è come il fardello che la terra si porta dietro. Valle, procede nel suo lavoro con accortezza e lucidità, che è quello che manca a molti altri artisti le cui mani , però non sembrano per nulla avezze, ad un certo tipo di ricerca. Mi auguro di rivederlo presto, sono rimasta affascinata dall'utilizzo dei materiali e dei colori, tanto che mi è venuto subito alla mente il mio tanto caro Burri, con i suoi cretti, le sue ricerche e la sue storie. 
Mi rendo conto avanzando con i pensieri, che sto glorificando il culto, non più delle immagini ma degli oggetti. Me ne sono resa conto apprezzando una giovane e fresca artista italiana, che a differenza degli altri di cui parlo, non ho mai incontrato , nè avevo conosciuto prima. PAOLA PEZZI, presente nello stand della GALLERIA ARMANDA GORI. Ne sono stata come attrata. Nei suoi lavori c'è qualcosa che travalica l'estetico e lo assorbe in sé.  Qualcosa , che attira l'attenzione plasmando un oggetto comune a tutti, che è memento dell'infanzia, e lo erige ad opera d'arte: matite colorate. Un romanticismo semplice, mi verrebbe da dire, che ha una connotazione interessante per come viene assemblato, plasmato, pensato. Tanto da rinascere come nuovo oggetto, quasi sconosciuto nella sua varietà di vortici infiniti e indicibili. 
Non saprei se definirle sculture o quadri in rilievo, ma la serie di Paola Pezzi, ha sicuramente un fascino interessante. L'assemblaggio di quelle matite, monocolore o colorate tanto da formare anche delle bandiere ci fa immergere nelle delizie del caos e dell' immensità. 
Quindi, non più un immagine celebrata con petulanza, che non interessa più a nessuno, ma qualcosa che prende il via proprio dagli oggetti di uso domestico e quotidiano e mi riporta alla mente il mio tanto affezionato Giorgio Morandi , perché è a lui che ho pensato per tutto il mio tempo, all'interno dello stand, di Galleria Continua, che mi ha riempito la mente, il cuore e gli occhi di meraviglie. Una wunderkammen contemporanea in cui Ai Wei Wei era il più classico di tutti.  
La ricerca di Galleria Continua, si mantiene una spanna davanti a molti altri che più che fare amano definirsi, finendo per abbandonarsi con pigrizia sempre e solo in una certa direzione che rimane all'interno di una circonferenza delimitabile in pochi, pochissimi gradi, depositandosi così in una zona protetta oltre il quale non si sporgono , allineati così come sono ad un arte rassicurante a cui aderiscono artisti e clienti rassicurati, da solo ciò che è ovvio, da solo ciò che si conosce. 
Galleria Continua, è un contenitore di grandi e piccole scoperte, dal libro scultura di Erri De Luca, ai mostri sacri come Anish Kapoor e Daniel Buren, ( che a me piacciono tanto) tanto per citarne alcuni fino ad arrivare ai loro artisti più giovani Valentina Ornaghi & Claudio Prestinari, che io ho trovato grandi nella loro semplicità tanto da pensare : chissà cosa avrebbe detto di loro Roberto Longhi. Lui che dopo la morte del suo caro Giorgio Morandi , più che alla perdita dell'amico pianse alla perdita di non poter più vedere delle sue opere. E lo sappiamo bene, che Roberto Longhi era molto esigente. Eppure questi due giovani artisti classe '86 e '84, si muovono con seducente eleganza di pensiero e manodopera in un mondo in cui non si da più molta importanza ai particolari. 
Il loro lavoro di ricerca vaga da un'aerea semantica all altra, e c'è continuità seppur nulla è una linea sempre identica. 
Mi piace immaginarli nella loro bottega tra continuità e cambiamento tra i loro pensieri e i loro oggetti che si tramutano in opere d'arte che d'improvviso schizzano lontanissime. È una mescolanza di autobiografia , storia , quotidianità e metafisica alla quale nessuno aveva osato fino a quel momento. 
Ornaghi & Prestinari conferiscono alle loro opere una luce magica e sovrannaturale che spicca sull'oscurità naturale delle cose. Quindi due spazzolini intrecciati non sono più solo due spazzolini, come una caffetteriera non è più una caffettiera. Riescono a superarla con destrezza quell'idea sull'oscurità naturale delle cose che è poi, la percezione più comune, quella che ci accomuna tutti. I loro APPUNTI, con foglia d'argento e realizzati con cacciavite a stella sono di una memorabile bellezza. 
La loro ricerca è carica di quel sensato idillio alla vita in tutte le sue forme dovute, accompagnata da un pensiero preesistente fondato su una ragnatela di corrispondenze che ci rivelano la profondità indefinita della quotidianità  intera con tutta l'enormità del suo azzardo che secerne e si rinnova. 
Non posso aggiungere molto altro , la loro perfezione quasi mi inibisce e ripenso a Morandi, Giorgio, quello vero, e ancora al loro Manuale che io ho letto in aereo come un romanzo, tutto d'un fiato, e non vedo l'ora di andare alla Casa Del Morandi , a vedere la loro mostra in corso fino al 12 Marzo. Perché l'arte quella vera è di una rarità estenuante. E questo lo scrivo, fiera, con l'impeccabile ingenuità dei mezzi che mi accompagnano. 

 Con questa mia selezione non voglio disprezzare la sensibilità di nessuno, che non ho menzionato, artista, gallerista, collezionista, curatore , critico o chicchessia....la sensibilità di ciascuno è il suo genio. Ma il genio va indirizzato, coltivato, fomentato, come un seme giovane sempre assetato e affamato, che bisogna nutrire con guizzo curioso, perché il tempo passa e noi che veniamo dalla patria di Dante dovremmo essere più avveduti di quelli che vengono dalla patria di Trump. 

( le immagini delle opere degli artisti sono in ordine d'apparizione nel testo : Francesca Pasquali, Yuken Teruya, Veronica Vazquez, Artur Lescher, Raffaele Rossi, Eltjon Valle, Paola Pezzi, Erri De Luca, Ornaghi e Prestinari )














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