Dear Mum, sono andata a New York ed ho incontrato Matthew Barney.

Dear Mum,

Sono andata a New York ed ho incontrato Matthew Barney.
É proprio così che dovrebbero iniziare un certo tipo di fiabe. Quelle fiabe da le pan quotidian in cui non l unico principe azzurro ammesso è IL fato.
Ho sfidato il fato tante volte, l ho raggirato, l ho affrontato finche non ha deciso di arrendersi alla caparbia di una come me, devota ma senza costanza.
Ho incontrato Matthew Barney, è uno di quei titoli che fa molto film all italiana degli anni '80. Quei film irriverenti in cui il sogno é incontrare o sposare Simon Le Bon. Io ho aspettative più modeste. Non lo voglio un Simon Le Bon, tra i due di cool basto io. Io preferisco degli incontri magari fugaci, brevi ma intensi.
Per tutta la storia della mia vita,passata nel mondo dell'arte, posso con cognizione di causa iniziare ad alzare sempre di più la media delle mie aspettative.
Adesso scrivo abbraccio senza pero urlare.. qui nella terrazza dell Americano, la vista é bellissima e la musica urla più di me, ma io ho deciso che adesso sono in vena di scrivere. Così come le cose che si fanno e basta. Ieri ho maneggiato a piene mani con il lavoro di Matthew Barney. Oggi l ho rifatto di nuovo. Un tuffo nella storia dell'arte contemporanea, quella che mi piace davvero nonostante io a tratti sia così noiosamente classica, penserete voi. Ed è qui l'errore dei principianti del pensiero, dei principianti delle sfumature, di coloro che sanno poco e male. Di coloro che questo mestiere provano a farlo senza le basi elementari.. come si fa a capire il genio di Matthew Barney se non si conosco le basi teoriche, magari kantiane, di ciò che può essere definito bello oggettivo o bello soggettivo. O ancora cosa ne possono sapere coloro che hanno iniziato senza studiare quali siano i veri riferimenti ed il vero retaggio di certa arte contemporanea?
Io non lo so.
Io so poche cose ultimamente. Un mondo che fugge a strappi ed io fuggo con lui o forse fuggo da lui inseguendo traiettorie sparse nel mondo che mi portano da Milano a New York passando per Toronto facendo marcia indietro a Palermo per poi risalire da Napoli verso Londra Parigi e Vienna e poi ritornare ancora qui negli Stati Uniti D'America. Qui, dove la gente é affamata di sapere e anche di potere ma in maniera costruttiva. Il Mors tua vita mea , l ho lasciato in Italia, eppure sento che ancora mi perseguita nonostante io non me ne curi. La mia non curanza , devo ammetterlo, mi salva sempre. Come quella volta che decisi di andarmene da sola a Jeddah e ci misi tre giorni per poter entrare nel paese. La mia non curanza allora mi ha salvato. Ma questa é un altra storia, una di quelle che sarebbero piaciute a Charles Bukowsky o forse no. A volte sono tremendamente convinta che la mia vita possa interessare davvero alla gente più impensabile.. ed a volte però ho scoperto che è davvero così! Amo questo paese, ma cosa sarei senza l'Italia? Non potrei viverci distanze per molto tempo. L'Italia mi piace, perché io sono come lei, l'Italia, una contraddizione in termini, insomma per farla breve, devota ma senza costanza.
Eppure ho incontrato Matthew Barney che dal 1991 ad oggi di strada ne ha fatta tanta. Talmente tanta che questo fortuito incontro é tra le altre cose una memoria indelebile di quello che é stato.
L ho incontrato difatti per la sua mostra alla Galleria di Barbara Gladstone 515 west 24th. Una mostra che a me é parsa più simile ad una consacrazione. Ha iniziato l allestimento Martedì 6 settembre di mattina presto. In galleria si aggirava con aria seria e attenta affinché tutto fosse perfetto ed in giusto equilibrio. Le sculture in vasellina erano avvolti con cura e ogni centimetro di distanza era calcolato. Mi ha affascinato il silenzio così accurato con cui l allestimento prendeva forma. No foto al back stage, no una parola che non fosse tecnica. Un attenzione per i dettagli e i particolari.
Nessuna opera inedita. La mostra "Facility of DECLINE" riunisce per la prima dopo venticinque anni tutti i suoi lavori della mostra del 1991 sempre per la Galleria di Barbara Gladstone, che allora ebbe luogo  nella sede di Soho. Eppure io l ho imparato, perché ai tempi pensavo a giocare con le bambole e Matthew Barney non sapevo chi fosse. Adesso pero sono qui a scrivere di quest'uomo geniale che ha trasformato la galleria di Barbara Gladstone in una palestra fatta di pesi di vasellina e di attrezzi da lavoro arricchiti da particolari bizzarri e desueti.  Una rappresentazione però ci tiene a precisare lo stesso Barney, che guarda ai momenti originali senza esserne una riproduzione. Un viaggio indietro nel tempo per uno dei più importanti artisti di quello che io adoro chiamare pionerismo dei materiali. Lui che usa il petroleum jelly, tapioca e prosthetic plastic. Lui che maneggia il video e lo inserisce in questa dura e stanca vita reale in declino. Lui che la sua palestra é la più introspettiva palestra che la vita ci abbia mai potuto offrire. Lui che può perché attraverso REPRESSIA e TRANSEXUALIS ci ha insegnato a guardare avanti già nel 1991. Lui che adesso gli verrebbe talmente facile andare avanti ha deciso di tornare indietro e regalare a chi come me era troppo piccola per decifrarlo e ammirarlo il suo periodo più bello, quello degli inizi. Lui che forse é stato colto dalla nostalgia. Lui che é Matthew Barney e da me si é lasciato incontrare.








Commenti

Post popolari in questo blog

Da Tamerlano il Grande a Der Sturm: Cinque buone ragioni per un Non Blog - Parte Prima

I raschiatori di Parquet, una nuova visione.

Courbet o il Funerale che ha cambiato l'arte.