Il disagio della Maniera




Giornata cielo sereno con pioggia, oggi in una quasi fine d'aprile senza sole. Dovrei scrivere più o meno una dozzina di testi,tra ricerche, presentazioni e vattelapesca ma oggi  vago da un'area semantica all'altra senza ispirazione. Questo perchè, come ho sempre scritto di me, sono devota e senza costanza o semplicemente oggi non mi va. Lungi da me il manierismo della penna, e per manierismo intendo quel mercimonio che colse Francis Bacon e Kokoscha per non parlare di De Chirico, costretto però da quel Cerbero di sua moglie.
Una parte ,abbastanza, consapevole di me stessa, è da sempre convinta, che è solo una questione di tempo e Francis Bacon verrà presto tolto dai manuali di storia dell'arte... e non me ne vogliano i benemeriti Argan, Bertelli, Briganti e bla bla bla... ma se dobbiamo parlare di pittura e di grandi artisti il caro "Ciccio Pancetta", sta fuori dalla grazia dell'arte. D'altra parte però mi ritrovo incompresa e denigrata quando forte di questa mia idea, ne rendo partecipi, durante le mie conversazioni, alcuni malcapitati, che sgranano gli occhi e lodano ciò che a loro sembra proprio essere un grande artista. Il problema fondamentale, o meglio il divario che divide il mio punto di vista dal loro è dovuto principalmente ad un'incomprensione di fondo ( ... la loro non la mia) sul significato stesso di "manierismo"... inteso non alla "maniera" di Giorgio Vasari che vi vedeva un bello ideale che superava la bellezza gli antichi stessi, bensì alla "maniera" intesa come mercimonio di se stessi nella completa ripetizione delle forme altrui.
Maturai questa, forse, malsana convinzione dopo due eventi a distanza di anni l'uno dall'altro. Tutto iniziò ai tempi dell'università, quando colta da cotanta meraviglia me ne andavo, sfidando ogni intemperia, in giro per mostre e musei, perdendo un tempo interminabile, che a me, però, pareva esser sempre troppo breve. Ricordo quando davanti a me apparvero queste tele di Kokoscha, una dietro l'altra in un infinito gioco di copia e incolla, potrei azzardare a dire oggi,tanto per utilizzare il linguaggio di voi moderni. Fu un orrore. Allora la mia formazione storico artistica era così acerba, come d'altra parte era giusto che fosse, che ancora non conoscevo le parole per definire il disagio interiore da cui fui colta. Ma l'emozione di disagio non la dimenticai, tant'è che molti anni più tardi, quando la mia formazione stava abbandonando lo stato di acerbo, davanti a tante opere non più di Oskar K. ma di Francis Bacon, di nuovo questo disagio mi colse.C'era qualcosa che non andava, a parte la mancanza di emozione: una ripetizione infinita e imbarazzante. Sebbene allora non fossi così consapevole e scettica, così come lo sono ora, per desiderio di concretezza, sull'utilità dell'uso della parola "manierismo", ero certo contraria alla sua estensione e quindi cercavo di applicare il termine restituendolo a un possibile referente originario ovvero la società cinquecentesca fiorentina e romana, dove il termine nacque . Ma  col tempo trovai che la dilatazione del "manierismo" avesse le sue ragioni. Questo termine che, nella sua vicenda moderna, era nato come categoria stilistica, appoggiandosi a concetti di tipo wolffliniano, fu in poco tempo promosso a un rango superiore, pretendendo di indicare un modello nel mondo.Ma per ritornare poi sempre, attraverso acrobazie e distorsioni, a fungere da definizione stilistica. E da qui nacquero i guai. Esiste, è vero, un problema di storicità della conoscenza e intendo la conoscenza del mondo e della sua specificità nelle varie epoche che è certo un problema, un pò più ampio di quello che riguarda il variare e il divenire storia delle diverse manifestazioni di stile  dal cinquecento in poi. E' probabile in teoria. Tra l'altro l'area è così vasta che non basta, a esplorarla, quanto sappiamo della storia delle idee o delle condizioni sociali e politiche di ogni secolo. Possiamo usare allora il termine "manierismo" in un senso così onnicomprensivo? Direi di no! Perchè? Forse perchè non sappiamo come gli uomini che vogliamo definire "manieristi" si soffiavano il naso. Non è un paradosso. Bisognerebbe sapere, di loro, qualche cosa che vada oltre o vada nel fondo dei loro atteggiamenti : come facevano l'amore, come chiacchieravano, sognavano, facevano gli affari, pregavano, rubavano, immaginavano, consideravano il tempo, lo spazio e mille altre cose ancora che non sono sempre recuperabili. Abbandono quindi, quelle definizioni generali che rischiano di essere come quelle etichette della quale, dopo tutto, ignoro il contenuto, accontentandomi dei messaggi formali che  trasmettono le opere. Insomma mi limito a raccontare il ricordo dinnanzi a Bacon e Kokoscha al trionfo della Maniera in questo luogo, che è tanti luoghi.
Ci fu, e forse c'è ancora, in me una lotta, fra questi artisti da me guardati come demoni manieristi e ciò perchè se li osservate bene nei loro lavori viene meno il senso della realtà intesa come accadimento umano, vicino, possibile, come azione nella luce, nell'atmosfera che è la stessa atmosfera in cui respiriamo, ed ancora, viene meno il senso di quella universale armonia, di quella affettuosa e sperimentata partecipazione alla vita.
Il mio desiderio sarebbe quello di riuscire ad affermare che il manierismo non esiste, ma come presumere di abolire, così, di punto in bianco, per decreto strettamente personale, una parola concetto tanto diffusa e in qualche caso,forse utile o comoda nonostante irta di devianti pericoli, perfide lusinghe e sostianzalmente nemica della verità. Forse il manierismo è davvero una lunga storia.. come una nevrosi che non ha nessuna reale estensione,nessuna corrispondenza con le cose... se non con quella sensazione di disagio che due volte mi colse dinnanzi a Bacon e Kokoscha che come il "manierismo" sono un invenzione del secolo scorso che di invenzioni diaboliche o inutili ne ha partorite non poche.

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